1) IL RINNOVAMENTO DELLE ISTITUZIONI MILITARI
La
guerra del 1866, con la ritirata di Custoza e la rotta di Lissa,
fu un insuccesso moralmente gravissimo, per la crisi di comando
e l'inefficienza complessiva che si erano rivelate nella
condotta delle operazioni e per le ripercussioni che si ebbero
nella pubblica opinione.
Ai contrasti personali dei Comandanti si sommarono le rivalità
delle diverse tradizioni militari, le antipatie, i risentimenti
e le nostalgie derivanti dalla affrettata unificazione dei vari
eserciti nazionali. Per costituire un organismo compatto, un
unico blocco funzionale, mancavano l'affiatamento, la
solidarietà, le comuni esperienze sui campi di battaglia, le
prove superate insieme.
Con un esercito maggiore di quello austriaco, una flotta doppia,
un alleato capace di sconfiggere da solo l'impero
austro-ungarico, l'Italia umiliata aveva dovuto accettare il
Veneto non dal suo nemico, l'Austria, ma dall'alleato imperatore
francese. La coscienza italiana sentiva il disonore di quella
prima guerra nazionale, che rivelava una impreparazione militare
tale da scuotere duramente la fiducia della pubblica opinione
nelle Forze Armate.
Bisognava reagire, ristudiare dalle fondamenta l'intero problema
militare nazionale, rinnovare spiriti, strutture, ordinamenti.
Un primo passo venne compiuto nel marzo 1867 con l'istituzione
della Scuola di Guerra, per approfondire lo studio dei problemi
militari ed elevare la preparazione degli ufficiali. La Scuola
di Guerra svolse nel periodo 1868-1872, un ruolo fondamentale
per la creazione delle prime compagnie alpine grazie soprattutto
all'impulso conferito agli studi sulla guerra in montagna ed
alle esercitazioni sulle Alpi, organizzate dall'insegnante di
arte militare, tenente colonnello Agostino Ricci.
Un altro insegnante, il capitano Nicola Marselli titolare della
cattedra di storia dal 1867 al 1875, aveva in precedenza chiesto
un congedo temporaneo per un soggiorno in Germania allo scopo di
prendere contatto con la cultura tedesca. un suo libro
pubblicato nel 1871 sostenne la necessità di rivedere
l'ordinamento militare italiano su base delle esperienze
prussiane.
La superiorità militare della Prussia consisteva nella rapidità
delle operazioni di mobilitazione grazie, al reclutamento
regionale ed a quantità di soldati che poteva schierare in
combattimento, con tre eserciti ben caratterizzati, costituiti
fin dal 1814.
Si trattava dell'esercito di prima linea o permanente, di
seconda linea o Landwehr, di terza linea o Landsturm (Esercito
territoriale).
Dopo le folgoranti vittorie prussiane del 1870-71 sulla Francia,
che mostravano la superiorità del modello di esercito-quantità
prussiano su quello dell'esercito-qualità francese, fatto di
soldati a lunga ferma, molti Stati europei sentirono il bisogno
di rivedere i propri ordinamenti militari e tra essi l'Italia.
Si studiò a fondo la strategia di Moltke, il prestigioso Capo di
Stato Maggiore prussiano, che aveva per fondamento la
rapidissima mobilitazione basata sul reclutamento regionale.
Secondo Moltke, la difensiva in campo strategico doveva essere
attiva e manovrata e veniva ammessa solo nel caso in cui fosse
imposta dalla superiorità dell'avversario. Nel corso delle
operazioni bisognava tenere il più a lungo possibile le forze
divise, per poi riunirle al momento necessario. Non più quindi
una condotta dell'esercito con un'unica massa, ma con tante
masse tra loro separate e plasmate all'ambiente naturale, da
riunire al momento decisivo.
La tattica della fanteria, secondo Moltke, avrebbe dovuto
evolvere dal sistema rigido delle colonne di compagnia
all'ordine sparso, lasciando ampia possibilità di iniziativa ai
Comandanti dei minori reparti. La forza delle unità combattenti
doveva consistere nell'elemento morale, nella capacità dei
Quadri, nell'iniziativa dei Comandanti in sottordine. In questi
concetti del tutto nuovi per il pensiero militare italiano del
tempo, ci sono i germi di quelle idee che furono all'origine
delle truppe alpine.
Le esigenze di rinnovamento spirituale, strategico, tattico e
ordinativo erano ben chiare nella mente del generale Cesare
Magnani Ricotti, quando il 7 settembre 1870 venne nominato
Ministro della Guerra. Egli svolse la sua azione riformatrice
con determinazione per superare le tante opposizioni, tra le
quali principalmente quelle del generale La Marmora. Lo fece con
larghezza di vedute, tanto da far compiere al nostro esercito la
svolta più importante della sua storia più che centenaria. Con
le riforme volute da Cesare Magnoni Ricotti l'Italia poté
disporre di un esercito adeguato al rango di grande potenza
europea.
L'opera riformatrice del Ministro iniziò a svolgersi prima
dell'istituzione delle compagnie alpine; di conseguenza è
necessario inquadrare la nascita degli alpini nell'ampio
contesto della riforma Ricotti, che segue il ben preciso filo
conduttore di trasformare l'Esercito italiano dal modello
francese voluto da La Marmora nel 1854 nel modello prussiano che
si era posto all'attenzione di tutta l'Europa.
Nel contesto della riforma va inserito anche il problema di
difendere la nuova frontiera alpina.
Era evidente che per operare nella zona di montagna sia con
operazioni offensive da svolgersi nell'ambito della strategia
difensiva ideata da Moltke, sia con operazioni difensive, si
sarebbe dovuto disporre di una fanteria reclutata ed addestrata
per lo specifico impiego nell'ambiente alpino.
Non si poteva pretendere di inviare nella zona impervia del
nuovo confine, a quote sui 3.000 metri, i fanti delle regioni
meridionali né tantomeno si poteva continuare a sostenere una
strategia che prevedeva di difendere le Alpi schierando
l'esercito sul Po, secondo quelle concezioni strategiche che
ormai erano da considerarsi decisamente superate.
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