« Da quei carri si levava l’urlo implorante “vadà! Vadà!” (acqua! Acqua!). Io so che cosa accadde sulla tradotta ove mi trovavo, che fece scalo alla città di Vladimir. Lungo il tragitto, durato circa quindici giorni, le scorte aprivano i vagoni solo per scaricare i morti: li buttavano giù sul marciapiede ghiacciato. Il rumore dei loro crani che battevano a terra è un altro incubo per la mia memoria. Allo scalo di Vladimir scaricarono circa cinquecento cadaveri che vennero sepolti in una fossa comune che ora è diventata un parco pubblico»

(Gen. Martini, prigioniero del campo Suzdal)

 
 
 
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