IL SEGRETO DEGLI ALPINI
Di Giulio Bedeschi
Una volta ogni anno, in primavera, viene
un giorno di gran trambusto nelle case degli alpini arroccate
sui greppi o sparse nelle valli, allineate nei paesi,
disseminate nelle città: dovunque esse siano c'è trambusto
grosso, perché l'alpino parte per l'Adunata.
Le donne hanno il loro da fare, e lava la camicia e stira un po'
quei pantaloni, rinforza i bottoni della giacca se no mi
saltano; e dover fare tutto di corsa, sotto gli occhi e il
pungolo di quel benedetto uomo che si mette a fare il difficile
e trova da ridire perfino sul modo di tagliare il pane e salame
che mangerà stanotte in treno.
E partono così, col cartoccio in tasca e il cappello in testa,
giovani che hanno finito il servizio di leva l'anno scorso,
vecchiotti che hanno lasciato le trincee del Pasubio e del
Grappa cinquant'anni fa, uomini che hanno fatto la naia in
Albania, in Africa, in Jugoslavia o sul Don se è andata bene, o
addirittura in Siberia o in India, anni su anni, se è andata
male; ma tutti alpini e artiglieri alpini, che adesso a due o
tre per volta o in gruppetti salgono sulle corriere di provincia
e sui treni, imprecando perché ogni anno il biglietto aumenta di
prezzo, come campo adesso per due giorni e tre notti con le
millecentoquaranta che mi restano nel portamonete? Perché sì,
per lo più sono povera o¬nesta gente che ha la famiglia sulle
braccia, anche le cento lire contano e come, e per andare
all'Adunata l'alpino le risparmia tutto l'anno settimana per
settimana a cinquanta e cento per volta. Perché, più che
ottenere lo sconto sui biglietti ferroviari, l'Associazione
Alpini non può fare.
Lo sappiamo che fra qualche giorno certi giornali, per spiegare
lo strano fatto che a questi chiari di luna centomila alpini
siano sfilati per le vie di Trieste, scriveranno che lo Stato ha
messo a disposizione somme enormi (l'anno scorso abbiamo letto
cinque miliardi!); ma la verità è una sola e l'abbiamo detta, e
aggiungeremo che riguarda gli alpini più ricchi , perché altri
centomila devono starsene a casa a rodersi il fegato perché non
hanno i soldi che bastano, o perché non possono concedersi il
lusso di lasciare il lavoro dei campi. Povera gente, vogliamo
dire in conclusione, o¬nesta gente che fatica e suda ogni giorno
per guadagnarsi il pane, gente che nessuno manovra o sospinge;
italiani come infiniti altri, con la differenza che ogni anno
fanno il loro bel sacrificio per ritrovarsi, magari riducendosi
a pane e formaggio e stando in piedi per due o tre notti in
fila, ché un letto in albergo costa troppo.
E perché? E chi glielo fa fare? È la domanda che sentiamo ripetere
da più parti, ogni anno; ce la rivolgono uomini delusi, resi
scettici dalle deprimenti vicende di vita; la leggiamo
addirittura durante la sfilata negli occhi di molti giovani,
giovani piante immobili nella viva siepe di italiani che fanno
ressa al nostro passaggio, siepe squassata da un vento che non
si sente, ma che soffia diritto sui cuori; giovani che ci
osservano con uno sguardo disincantato che filtra una sua luce
un tantino ironica, come se essi fossero al di sopra e al di
fuori del bene e del male, e della vita potessero già tirare le
somme definitive, e giudicare il prossimo con un loro gelido e
staccato compatimento, fermi e alti su un loro gradino, statue
che vorrebbero giudicare gli uomini vivi che camminano sulla
strada, ben giù da quel piedistallo.
Tuttavia, gli alpini duri a ritrovarsi ogni anno, formicolanti
per tutta Italia fino a raggiungere una città, e là riunirsi e
camminare insieme per un poco. Poi via, arrivederci l'anno
venturo.
Ma chi glielo fa fare?Nessuno, è evidente; nessuno potrebbe dare
un tale ordine. Ma un qualcosa sì, glielo fa fare, è altrettanto
evidente. Non è certo il gusto di sfilare in parata, nessuno è
tanto lontano come loro da questi ghiribizzi; non è il gusto
degli applausi, figuriamoci, nessuno è più schivo e semplice di
loro; non è il richiamo di una gran sagra, il giuoco non
varrebbe la candela.
Cosa li muove, cosa li spinge, allora? Ecco, questo è il segreto
degli alpini, un semplicissimo segreto che chiunque potrebbe
intendere in un attimo, se venisse dalla via degli alpini. È
facile. Basta immaginare una creatura umana che è giunta a notte
dopo una pesante giornata, e le palpebre si chiudono da sole, e
c'è un po' di paglia per terra in una tana fredda sì, ma non
tanto come fuori nella trincea; darebbe chissà che cosa per
buttarsi giù a dormire un poco. Ma oltre la trincea ci sono
duecento metri di terra di nessuno e al di là stanno quegli
altri, pronti ad approfittare del buio e a venirti a fare la
sorpresa in pattuglia, una bella sventagliata nel sonno e chi
s'è visto s'è visto.
Dormire, poter dormire un'ora in pace. Ma c'è vicino Tonio,
Tonio che si è già infilato il cappotto e allarga il buco del
passamontagna perché la barba gli piace tenerla fuori, e già
brontola per il freddo che prenderà perché comincia il suo turno
di guardia alla mitragliatrice. L'altra creatura lo vede infatti
uscire dalla tana, e allora si sdraia sulla paglia e pensa:
vieni sonno, adesso puoi venire perché fuori ci pensa Tonio; e
non sa che Tonio ha fatto lo stesso pensiero per lui, due ore
prima. E tanto meno riflette sul buffo fatto che i lunghi
chilometri di trincee, nel buio e nel silenzio della notte,
prima ancora di essere linee tenute da soldati in armi,
costituiscono il punto di contatto di tanti esseri umani che si
cercano l'un l'altro, e s'appoggiano a vicenda per difendersi
dalla guerra che uccide, e si misurano giorno per giorno nella
loro forza, nelle loro azioni, e ne traggono stima, e coraggio,
e fiducia per la disperata vita.
Talché basta notare che Tonio oggi non fuma in quel tal suo modo
rabbioso che gli riduce subito a cicca la sigaretta, per sentire
che oggi si può stare tranquilli senza sorprese. E se c'è
pericolo, quel suo breve sorriso che si fa strada fra la barba
nera è rassicurante perché è d'uomo saldo e forte, collaudato
alla prova cento volte; fa pensare alla protezione del padre
lontano, trasmette nel sangue un qualcosa della sicurezza e del
calore di casa; perché si sa che la strada d'ogni uomo, per
corta o lunga che sia, parte sempre dal focolare di casa, e più
lontani e sperduti si è, più il tepore di quel fuoco riscalda e
tiene in vita finché ci si ritorna. Se possibile.
Si forma così, fra gli uomini in guerra, una solidarietà senza
mezze misure, di gente che si riconosce fino in fondo; e quando
battono sulle linee le ore estreme, o i lividi minuti di sempre,
in ogni caso c'è sempre qualcosa da poter dare se ce l'hai, ed è
sempre per gli altri e mai per te; per te, proprio tuoi, ci sono
soltanto i pidocchi e quella tua coscienza che non ti senti
addosso, ma che i compagni ti vedono affiorare sempre più chiara
giorno per giorno, da ogni tua azione, così da diventare un
connotato come le tue labbra e i tuoi occhi, e tu quello sei e
quello resti anche dopo venti o cinquant'anni. E quello verranno
ancora a cercare i tuoi compagni all'Adunata: un uomo a cui
stendere la mano con tutta l'effusione dell'animo, un fratello
da abbracciare perché la fraternità è una tale realtà che,
quando nasce dal patimento condiviso insieme al pane in mezzo al
sangue, non sa morire più.
Ecco cosa glielo fa fare. Ecco il semplice, elementare segreto
degli alpini: un sacro patto umano.
Sono legati uno per uno, è un'intesa profonda che passa da uomo
a uomo sul filo della penna nera. Un patto umano che ha legato
una volta e lega per sempre, fra gente che si è misurata nel
profondo e se si guarda negli occhi si legge nel cuore. Non è
cosa da poco, a questo mondo. Ecco il senso, il gusto
dell'Adunata, vale la pena di accorrere, di ritrovarsi. È un
gigantesco atto d'amore collettivo, alla buona s'intende, senza
complicazioni, da alpini insomma. Ma non giudicateli
dall'apparenza, allegri e burloni come sono; quelli camminano in
centomila, ma potete moltiplicarli a volontà, non finiscono più
perché si portan dietro i loro morti, dispongono perfino di un
loro paradiso, il paradiso di Cantore.
E i battaglioni, i gruppi, le compagnie, le batterie sono densi
di vivi e di morti allineati insieme, tutti presenti, è una
tradizione che non molla, che fa pensare. I morti si sono
sacrificati per i vivi, non è una frase, è una realtà che va a
ritroso negli anni, che si inarca intatta verso l'avvenire. È un
esercito che non si distrugge, alle anime non si spara. E anime
prima di tutto hanno i reparti, anime hanno le divisioni, le
brigate, i reggimenti, i battaglioni, somma di anime
moltiplicata nel tempo, nei luoghi, dovunque alpini hanno
sanguinato popolando di spiriti i monti, il deserto, la steppa,
il profondo del mare.
Hanno popolato anche la storia, perfino la leggenda con la
realtà del loro patto umano.
Il segreto degli Alpini
Raccolta di scritti e inediti
di Giulio Bedeschi
Mursia editore, Milano
In tutte le librerie.
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