Oggi ai piedi di monte
Marrone si può tranquillamente arrivare in auto, fino al
monumento di colle Rotondo, a pochi chilometri da Castelnuovo al
Volturno, eretto in memoria dei soldati e dei caduti italiani,
che dal febbraio al maggio 1944 occuparono questo tratto della
Linea Gustav.
Quando però si arriva in quel punto, è gioco forza alzare lo
sguardo verso la vetta e la montagna si trasforma in un Ciclope,
sotto la cui mole si diventa piccoli come formiche.
Malgrado la sua altezza massima di 1.770 metri non sia niente di
eccezionale, la cresta, lunga più di un chilometro, appare come
un susseguirsi di guglie, canalini, dirupi, precipizi minacciosi
e lontani: dalla base del monte per arrivare in cima bisogna
infatti superare 700 metri di dislivello! Dal basso è difficile
immaginare che la parte orientale della cresta si trasformi in
una serie di facili declivi erbosi fino a raggiungere la vicina
ed attigua vetta di monte Mare (2.021 m.).Da lassù si dominano
l’alta valle del fiume Volturno, il monte San Michele e il monte
Castelnuovo ad est, e buona parte della catena delle Mainarde, a
sud-ovest. Sostando davanti al monumento, nel silenzio che è
proprio di quel luogo, è persino difficile pensare che sia stato
contaminato dalla furia della guerra, ma anche che il monte
possa essere stato conquistato in una sola notte, grazie ad una
magistrale arrampicata di centinaia di uomini...
Quando gli Alpini arrivarono alle falde di Monte Marrone, tutti
si stupirono del fatto che quella montagna minacciosa che li
sovrastava fosse ancora nelle mani dei tedeschi. In effetti il
13 febbraio, il generale Guillaume aveva elencato in un
documento le possibili azioni offensive da intraprendere: "La
prima azione, ad effettivi ristretti, si poteva svolgere in
direzione nord avendo per obbiettivo la conquista di Monte
Marrone-monte Mare per privare il nemico di tali importanti
osservatori." (1)
Il generale Utili aveva offerto i propri reparti per l’impresa
che sembrava ormai prossima, ma il 10 marzo il generale
Guillaume avvertì che il C.E.F. avrebbe lasciato le sue
posizioni e che il I Raggruppamento sarebbe passato agli ordini
del 2° Corpo polacco. (2)
Il generale Guillaume avvertì anche che l’azione su Monte
Marrone sarebbe stata rinviata ed il coordinamento passava al
comando del 2° Corpo Polacco ed in particolare a quello della 5a
divisione di fanteria. Dai primi incontri con i Polacchi, questi
si dimostrarono entusiasti del piano italiano e garantirono ogni
appoggio possibile specie da parte della loro artiglieria, tanto
che il 24 marzo, nonostante una nevicata, le compagnie del
battaglione "Piemonte" iniziarono gli spostamenti necessari. (3)
Nella giornata del 30, vigilia dell’azione, la 1a compagnia
raggiunge la base di partenza; un pezzo della batteria venne
issato sul monte Castelnuovo, conquistato il 23 febbraio dal IX
battaglione d’assalto; il comando della batteria e gli altri tre
pezzi vennero dislocati a quota 1193. (4)
L’azione iniziò alle 3,30 del 31 marzo.
Dal diario del battaglione:
"Alle 3,30 ha inizio l’azione. Fra le 5,30 e le 6,15 i nuclei
esploranti delle compagnie raggiungono la cresta occupandola di
sorpresa; ad un’ora di distanza raggiungono gli obbiettivi anche
gli elementi successivi. L’azione si svolge con regolarità e
precisione cronometrica. Durante tutta la giornata continua il
lavoro dei portatori per far affluire sulle posizioni il
materiale e le munizioni occorrenti. Un alpino si ferisce per un
accidentale colpo di arma da fuoco, un altro si ferisce cadendo
da un roccione." (5)
Tutto qui, sì tutto qui, ma per apprezzare il gesto occorre
pensare che le tre colonne in cui fu diviso il battaglione
dovettero superare un dislivello di circa 700 metri, al buio
completo. Ogni uomo, oltre all’armamento ed all’equipaggiamento
individuale, portava uno zaino con un carico di circa 40 chili,
perché tutto doveva essere trasportato a dorso d’uomo: viveri,
munizioni, attrezzi, mitragliatrici, fucili mitragliatori e
mortai. Altro che "non fare la guerra"... .
Gli Alpini erano preceduti dai plotoni esploratori, fra i quali
alcuni valdostani, a cui competeva trovare il percorso migliore
e, in alcuni punti con difficoltà di 2° e 3° grado, assicurare
le corde con le quali issarsi.
Alle 6,15 i primi esploratori erano sulla cresta ed entro le
7,15 i fucilieri erano già disposti a difesa, mentre il grosso
si dava da fare a scavare postazioni, stendere filo spinato,
riempire sacchetti a terra.
All’alba tutto era pronto e la 1a e la 2a compagnia si
distribuirono lungo la linea di difesa, mentre alla 3a fu
affidato l’incarico di continuare l’opera di rifornimento.
L’azione era riuscita perfettamente anche grazie all’attento
esame della montagna eseguito nei giorni precedenti dagli
addetti all’osservazione.
In un rapporto, il sottotenente Andrea Pingitore, della 3a
compagnia aveva scritto:
"Spiccano nettissime tre punte (la più bassa a sinistra, circa
1600 m.s.m. = la più alta a destra, 1770), con strapiombi
calcarei rossicci di 200/300 metri, difficilissimi. La parete
Est è solcata da 3 grandi canaloni in taluni punti boscosi e da
svariati canalini ripidissimi, di neve e ghiaccio, che portano
diretti in cresta.
Il canalone più grande, a sinistra, non presenta speciali
difficoltà; trecce di sentiero alla base, attacco visibilissimo.
Uno, due metri di neve dura, salita in ramponi, discesa in
scivolata. Esce in bosco, sulla sella fra la prima e la seconda
quota (da sinistra a destra).
Il canalone al centro, più stretto, obliqua verso la 1770, la
quota più alta, ed esce sulla selletta a destra, la più
interessante. Si sale sul bordo destro del canalone. Neve dura e
ghiaccio = ramponi e piccozza = discesa con prudenza.
A metà percorso, dal bosco sinistro si biforca un arditissimo
canalino di ghiaccio e neve, con rocce affioranti; che sale alla
1770. Cordata di tre elementi = ramponi = piccozza ed
attrezzatura da roccia. Passaggi di terzo e quarto grado, via da
attrezzare come eventuale itinerario di ripiegamento.
Il canalone di destra si restringe sovente, supera subito un
salto di roccia di circa 100 metri, ed esce in ripido bosco,
sull’orlo della parete Nord. Salita in ramponi e discesa in
scivolata nel solco centrale. Due passaggi obbligati di 1° e 2°
grado.
Cresta facile da percorrersi a Nord, difficile dalla selletta
sotto 1770 a tutto il resto del percorso. La 1770 è attrezzata
con circa 250 metri di corda fissa, ininterrotta, e
l’osservatorio del costone Nord con altri 48 metri. Chiodoni in
ferro dolce, con occhiello fisso. (6)
I tedeschi reagiscono
E i tedeschi? Si fecero vivi il 2 aprile con una pattuglia che
osservò da 800 metri, andandosene dopo i primi colpi di mortaio.
(7)
Nella notte fra il 3 ed il 4 aprile invece, un’altra pattuglia
si avvicinò a meno di 20 metri dalle postazioni della 1a
compagnia, innescando una vivace reazione. Un caporale ed un
soldato tedeschi feriti rimasero sul terreno e vennero
catturati; furono rinvenuti un fucile mitragliatore, due mitra,
un fucile, 5 bombe a mano, un binocolo e munizioni varie. (8)
Nei giorni seguenti le postazioni vennero migliorate, furono
piantate tende, preparati ricoveri, aumentate le difese con filo
spinato e mine, ma se gli Alpini erano riusciti nell’impresa non
furono da meno gli Artiglieri alpini. Un pezzo era già stato
piazzato su monte Castelnuovo ed un altro fu issato fin sulla
vetta di Monte Marrone. Costò una fatica terribile, issato a
mano con l’aiuto di corde ed un cavo d’acciaio.
Soltanto il 10 aprile, i tedeschi tentarono con un colpo di mano
di riprendere la cresta.
Dal diario del battaglione:
"Alle ore 3,25 del giorno 10 aprile 1944 le vedette avanzate
della 1a compagnia schierata tra la q. 1770 di M. Marrone e la
selletta a Nord della quota stessa udivano rumori sospetti
provenienti dal bosco antistante.
La visibilità era nulla a causa dell’oscurità e della fitta
nebbia. Poco dopo lo scoppio di una mina confermava il sospetto
che si trattava di un attacco nemico. Dato l’allarme le truppe
si schieravano prontamente nelle loro posizioni. Alle ore 3,30
cadevano sulle nostre linee colpi di artiglieria, di mortai e di
bombe lanciate con fucili lanciabombe; subito dopo avveniva
l’assalto nemico accompagnato da fuoco di armi automatiche. I
tedeschi si slanciavano contro le nostre posizioni al grido di
assalto e malgrado la pronta reazione di fuoco delle nostre armi
un’aliquota di essi riusciva a superare la cintura dei
reticolati e ad infiltrarsi nella nostra organizzazione
difensiva ove si accendeva una mischia violenta a colpi di bombe
a mano e con tiri di moschetti automatici. Il pronto intervento
dei pochi elementi di manovra ed in special modo degli
esploratori e di una squadra fucilieri della terza compagnia
riusciva a respingere gli attaccanti che, approfittando
dell’oscurità del fitto bosco, ripiegavano precipitosamente
sulle posizioni di partenza. Il combattimento è durato circa due
ore, le forze attaccanti sono da valutarsi, anche per
dichiarazioni di un prigioniero, superiori al centinaio. I
tedeschi che hanno fatto l’azione appartengono a reparti di
Gebirgsjaeger ed indossavano tute bianche.
Perdite nostre: Un sottufficiale morto (9), Cinque alpini feriti
da schegge e bombe a mano.
Perdite nemiche accertate: 3 soldati morti, 1 soldato
prigioniero.
Presumibilmente le perdite del nemico sono state molto gravi,
essendo state notate sulla neve tracce di sangue e traccia di
corpi trascinati. E’ stato rastrellato il seguente materiale: n.
2 mitragliatrici, 3 pistole mitragliatrici, 4 fucili Mauser con
lanciabombe, 4 canne di ricambio per mitragliatrici, 5 cassette
portamunizioni, 1 barella portaferiti, 30 caricatori per mitra,
20 bombe per Maser lanciabombe, 9 bombe a mano.
Il comportamento degli alpini è stato, anche in quest’occasione,
degno di massima ammirazione.
(1) Il prode sergente maggiore Mario Falubba le cui condizioni
di salute avevano reso non idoneo alle fatiche di guerra, ma che
aveva voluto volontariamente rimanere a far parte della sua
compagnia partecipando, fino all’olocausto della vita, al suo
impiego." (10)
Il 17 aprile al I Raggruppamento Italiano fu assegnata la nuova
denominazione di Corpo Italiano di Liberazione, passando alle
dipendenze del X Corpo d’Armata britannico ed estendendo la
propria linea di difesa. (11)
La vita sul monte Marrone era certamente scomoda e pericolosa
per i continui bombardamenti di artiglieria e mortai, ma per
tutto il mese di aprile furono eseguiti continui miglioramenti.
Venne ultimato il lavoro per la mulattiera eseguito dal Genio
del I Raggruppamento, che permise di trasportare a dorso di mulo
i rifornimenti fino alla quota 1.770; un’altra mulattiera venne
tracciata fino al pezzo su monte Castelnuovo.
Ai primi di maggio, le compagnie del battaglione "Piemonte"
furono sostituite da quelle del XXXIII e del XXIX battaglione
Bersaglieri.
Addio a Monte Marrone
Il battaglione "Piemonte", secondo gli ordini impartiti dal
comando del C.I.L, partecipò all’operazione "Chianti" ed il 27
maggio 1944, mosse in avanti verso il colle dell’Altare, dovendo
sostenere diversi scontri contro le retroguardie tedesche. Nei
giorni successivi la colonna Briatore si spinse nella valle di
Canneto, fino al santuario della Madonna di Canneto, dove
incontrò di nuovo una vivace resistenza tedesca. Il 30 maggio,
ricevette l’ordine di tornare indietro.
Il C.I.L. sarebbe stato trasferito su un altro settore del
fronte... .
Il ricordo lasciato fra le popolazioni del Molise si mantenne
negli anni e nel 1968 il comune di Scapoli volle omaggiare i
soldati italiani con una lapide, alla quale seguì una seconda
nel 1984.
In occasione delle cerimonie del trentennale, fu inaugurato con
grande partecipazione di reduci il monumento a colle Rotondo,
proprio alla base di monte Marrone. Opera dello scultore
Vittorio Piotti, un alpino, esso è stato eretto a cura della
Regione Molise, "il monumento simboleggia con i blocchi dedicati
alle venti regioni italiane la liberazione delle quali è
avvenuta anche grazie agli Alpini di Monte Marrone rappresentati
dall’aquila che spezza le catene della dittatura dinanzi alle
tre croci simboli dei martiri della libertà." (12)
Venne eretta la croce con l’aquila appoggiata, che svetta ancora
oggi sulla cima del monte. Essa fu voluta dai reduci del
battaglione e finanziata con i proventi del libro "Una guerra da
signori: diario di guerra di un sergente degli alpini" scritto
da un reduce, Sergio Pivetta, allora giovane sergente maggiore,
volontario nel battaglione "Piemonte" che, come lui stesso
racconta, aveva preferito lasciare il corso di Allievi Ufficiali
che stava frequentando pur di raggiungere gli Alpini,
rinunciando alla promozione ormai sicura; l’avanzamento al grado
gli fu poi conferito per meriti di guerra
(1)
-Salvatore Ernesto Crapanzano, Op, Cit., pag. 97.
(2)
-Il 26 marzo 1944, il I Raggruppamento Motorizzato fu posto
agli ordini del del 2° Corpo polacco e quindi sotto l’8a Armata
britannica. Cfr. Salvatore Ernesto Crapanzano, Op. Cit., pag.
113.
(3)
-L’artiglieria della 5a divisione
di fanteria polacca fu allertata dal 26 marzo. Essendo quella
del battaglione “Piemonte” un’azione di sorpresa essa sarebbe
intervenuta solo in caso di necessità. Cfr. Salvatore Ernesto
Crapanzano, Op. Cit., pag.197.
(4)
-Cfr. Castren, Op. Cit., pag. 47 e
seguenti.
(5)
-Ibidem
(6)
-Il rapporto è riportato in Cfr. Natalino Paone, Op. Cit.
(7)
-Davanti a monte Marrone i tedeschi
schieravano il Hochgebirgsjaeger-Bataillon 3, dalla Costa San
Pietro a monte Mare; alla sua destra il Gebrigs-Jaeger-Regiment
95; alla sua sinistra, l’Infanterie-Regiment 576, dalla valle di
Mezzo a Scontrone. Cfr. Salvatore Ernesto Crapanzano, Op. Cit.,
pag. 118.
(8)
-Nella stessa notte una pattuglia
tedesca si avvicinò alle posizioni del 68° reggimento Fanteria
presso Castel San Vincenzo, lasciando sul campo un morto. Cfr.
Salvatore Ernesto Crapanzano, Op. Cit., pag. 124.
(9)
-Cfr. Castren, Op. Cit., pag. 47 e
seguenti.
(10)
-Cfr. Natalino Paone, Monte Marrone 1944, Cosmo Iannone Ed.,
Isernia, 2005, pag. 15
(11)
-Salvatore Ernesto, Crepanzano, Op.
Cit., pag. 129.
(12)
-Cfr. Natalino Paone, Op. Cit.
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