All'adunata numero 90 del corpo a Treviso l'omaggio
all'esemplare con la penna nera salvato dall'asta in cui
rischiava di essere comprato dai macellai. L'animale ha 38 anni
che se fosse un uomo sarebbero 114.
Treviso Se ne sta solo sulla
collina, sotto un faggio, a guardare tutti dall’alto. Possono
avvicinarsi solo due asine, gli altri muli no perché sono troppo
giovani e vogliono correre e giocare. Iroso, ultimo mulo con la
penna nera, forse si sente davvero un “soldato”, come lo
chiamano gli alpini che lo nutrono e lo curano come fosse un
nonno molto anziano e molto amato. Sarà la “star” della adunata
nazionale numero 90 degli alpini a Treviso.
«Lo porteremo là sabato, con
un trailer speciale, imbottito. Non farà la sfilata ma resterà
in un recinto, solo per poche ore. Ha 38 anni, che equivalgono a
114 anni umani. Lo sa che mi chiamano da tutta Italia, per
chiedere come sta Iroso? E come se fosse il mulo di tutti gli
alpini».
Antonio De Luca, classe 1946, è il padrone di Iroso e il
salvatore di tanti altri muli che furono messi in vendita dal
Comando brigata alpina Cadore. «Il soldato ha la piastrina di
riconoscimento e il mulo il numero di matricola, marchiato a
fuoco sullo zoccolo anteriore sinistro. Iroso è l’ultimo mulo
che è stato in servizio con gli alpini, matricola 212. Quando
morirà, taglieremo lo zoccolo e lo conserveremo. Come si faceva
un tempo. La carcassa verrà bruciata all’inceneritore, perché un
mulo soldato non può diventare mangime per cani».
La storia di Iroso, in
fondo, è una storia d’amore fra uomini e animali. «Andai
all’asta del 7 settembre 1993 — racconta De Luca — quando furono
venduti gli ultimi 24 muli: mi servivano per il trasporto di
legna nel bosco. Ma soprattutto io che ero stato un alpino non
volevo che questi nostri compagni finissero in mano ai macellai.
Mi vengono i brividi, quando penso ai camion delle macellerie
posteggiati davanti alla caserma D’Angelo a Belluno».
«Un tenente in servizio, Vicentini, si mette dietro di me. Parte
l’asta per i “muli di riforma”.
Si parte da 500 o 600 mila lire. I macellai rialzano, ma verso i
700 si fermano. Rialzo anch’io, quando il tenente Vicentini mi
sussurra: “Quello vuol fare mortadelle”. In breve: ne compro 13,
Iroso compreso, spendendo una ventina di milioni. Qualche mulo è
salvato da altre persone, come una signora di Cortina che voleva
regalarne uno all’Ana, l'Associazione degli alpini. I macellai
non vogliono tornare con il camion vuoto ma io continuo ad
alzare l’offerta e compro». Non è finita. «Alle 4 di notte mi
telefona Vicentini. “Questione di vita o di morte. Quello
dell’Alto Adige che ha comprato tre muli dicendo di essere un
contadino ha confessato al tg regionale di voler farne salami.
Dobbiamo andare a salvarli”. Una corsa nella notte. Uno dei muli
era già diviso in mezzene».
«C’ero anch’io, quella volta. Mi sento ancora male». Graziano De
Biasi, classe 1954, è un ex tenente degli alpini. «Dissi a De
Luca: compra a qualsiasi prezzo, poi ti rimborsiamo. I soldi
furono offerti dagli alpini della caserma D’Angelo che
rinunciarono alla loro decade, la paga del soldato». Nascevano
in Puglia, i muli degli alpini, da asini di Martina Franca
accoppiati con cavalle nere delle Murge. Addestramento a
Grosseto poi, a 5 anni, l’inizio
del lavoro, fino ai 18 anni d’età. «Si calcola — dice Graziano
De Biasi — che all’inizio della Prima guerra mondiale ce ne
fossero 250 mila. Alla fine ne rimasero 39 mila. C’era
l’Artiglieria, con mule e muli che portavano sulla schiena obici
e mortai, e la Salmeria, con casse laterali che portavano cibo,
medicinali, barelle, tende… Un mulo può portare fino a un terzo
del proprio peso: due quintali per un animale di sei. È vero: se
il soldato mulo cadeva in un dirupo, il soldato umano doveva
scendere e tagliare lo zoccolo con la matricola e portarlo in
caserma. Questo per evitare che qualcuno vendesse il mulo a
pastori o contadini, dicendo che l’animale era scappato».
«Quando ero in servizio io, fino al ‘75, in caserma avevo 80
muli. Ho capito che il binomio alpino e mulo è inscindibile. Si
dice: testardo come un mulo. Io ho incontrato cavalli e anche
uomini più testardi. Il mulo sembra scontroso perché è timido e
ha una grande paura del buio. Non riesci a infilarlo in una
galleria, se non è illuminata. Può avere paura anche di una
lucertola. Per questo era seguito sempre dallo stesso alpino,
che imparava a conoscerlo come un fratello. E se crei questo
rapporto, l’animale ti riconosce, ti fa festa come un cagnolino
di seicento chili». Anche Antonio De Luca parla con Iroso. «Se
gli passo vicino e tiro dritto, lui mi chiama. Ha lavorato
qualche anno nel bosco, poi è diventato uno di famiglia. Gli
altri alpini mi aiutano per il mangime speciale e per il fieno,
abbiamo costituito qui la ‘Sezione Ana Vittorio Veneto reparto
Salmerie’. Ormai non vede nulla da un occhio e poco dall’altro
ma si capisce che ha ancora voglia di vivere. E di mangiare le
mele e le carote portate dai bambini»
(Fonte: Repubblica.it
- di Jenner Meletti)
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