In Italia è la “festa delle forze armate e dell'unità
nazionale”, un tempo molto sentita e oggi meno nota
Il 4 novembre in Italia è una festa, anche se si va a lavorare
lo stesso, e non è un giorno segnato in rosso nel calendario: è
la festa dell’unità nazionale e delle forze armate, un tempo
molto sentita e oggi meno nota e ricordata. II 4 novembre è
l’anniversario dell’entrata in vigore del cosiddetto armistizio
di Villa Giusti del 1918, col quale si fa coincidere
convenzionalmente in Italia la fine della Prima guerra mondiale.
L’accordo fu firmato a Padova il giorno prima, il 3 novembre
1918, dall’Impero austro-ungarico e l’Italia, che era alleata
con la Triplice Intesa (il Regno Unito, la Francia e la Russia). Le trattative per
l’armistizio erano cominciate il 29 ottobre, durante la
battaglia di Vittorio Veneto: l’ultimo scontro armato tra
l’Italia e l’Impero austro-ungarico.
Il generale Armando Diaz, comandante delle forze armate
italiane, comunicò la vittoria e la fine della Guerra con un bollettino: «La guerra contro l’Austria-Ungheria che l’Esercito Italiano,
inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con
fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed
asprissima per 41 mesi, è vinta. […] I resti di quello che fu
uno dei più potenti eserciti del mondo, risalgono in disordine e
senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa
sicurezza». L’armistizio non fu però un successo per l’Italia.
Sebbene gli accordi iniziali prevedessero per l’Italia
l’annessione di Trentino, Tirolo meridionale, Venezia Giulia,
l’intera penisola istriana (esclusa Fiume), una parte della
Dalmazia, alcune isole dell’Adriatico, le città albanesi
di Valona e Saseno e il bacino carbonifero di Adalia in Turchia,
oltre alla conferma della sovranità su Libia e Dodecaneso, le
nazioni della Triplice Intesa decisero di non concedere
all’Italia tutti i territori promessi: è la ragione per cui
Gabriele D’Annunzio parlò notoriamente di “vittoria
mutilata“.
L’Italia – che prima di entrare in guerra era considerata vicina
ad Austria e Germania e poi si dichiarò neutrale – si vide
riconoscere il Trentino, l’Alto Adige, l’Istria e Trieste, ma
non la Dalmazia e la Libia. In ogni caso, il 4 novembre si
celebrano per questo la giornata dell’unità nazionale
(per l’annessione di Trento e Trieste al Regno d’Italia: non va
confusa con l’anniversario
dell’unità d’Italia) e la giornata delle forze armate, poiché quei giorni del 1918
vennero dedicati alle onoranze funebri – in Italia e in Europa –
per commemorare i soldati morti in guerra. Tra l’altro, è stata
variamente celebrata in tutto il mondo la ricorrenza dei cent’anni dall’inizio della Prima guerra
mondiale.
La festività del 4 novembre è stata istituita nel 1919 ed
è durata fino al 1976: è l’unica festa nazionale che sia stata
celebrata dall’Italia prima, durante e dopo il fascismo. Dal
1977, dopo una riforma del calendario volta ad aumentare i
giorni lavorativi, si cominciò a festeggiare la giornata
dell’unità nazionale e delle forze armate nella prima domenica
di novembre. Negli anni Ottanta e Novanta l’importanza della
festa diminuì progressivamente, rispetto agli anni precedenti
Sessanta e Settanta in cui era oggetto di discussioni, polemiche
e lotte politiche.
Come ogni anno, il 4 novembre il presidente della Repubblica e
le altre alte cariche dello Stato visitano la tomba del Milite
Ignoto, che ricorda tutti i soldati morti in guerra e mai
identificati, all’Altare della Patria di Roma. A suo tempo il
presidente Giorgio Napolitano aveva
diffuso una dichiarazione: «Questa mattina, in raccoglimento ai piedi del sacello del Milite
Ignoto, renderò omaggio ai caduti di tutte le guerre e a coloro
che, in questi anni, hanno perso la vita per la sicurezza e la
pace. In un mondo che manifesta tensioni e instabilità
crescenti, si vanno affermando nuove e più aggressive forme di
estremismo e di fanatismo che rischiano di investire anche
l’Europa, e l’Italia in particolare, infiltrandone gradualmente
le società. È una minaccia reale, anche militare, che, insieme
all’Unione Europea e alla Nato, dobbiamo essere pronti a
prevenire e contrastare».
|